Displacement

Cosa è rimasto dunque di una città che ha perso i suoi abitanti?
Dove finisce la città fisica e dove inizia la città che vive?
Cosa succede al suo genius loci quando i suoi cittadini sono persi e spostati all'anonimato dei sobborghi?
Ho percepito cosa può significare lo spostamento mentre passeggiavo lungo le strade biforcute de L'Aquila, una città italiana diventata un simbolo per la perdita e la dispersione di una comunità.
Il terremoto del 6 aprile 2009 ha trasformato questa città storica in un
sito, in un non-luogo indifferente di nuovi edifici che sono riemersi dalla polvere di detriti, sotto le spoglie di hotel rinnovati, caffè e wine bar, come se questi fossero gli unici luoghi adatti alla vita sociale. La popolazione nel frattempo è stata spostata ed esiliata nelle nuove città, quartieri dormitorio con centri che sono nient'altro che le rotonde dei centri commerciali, dove si può sentire un disorientamento materiale e spirituale.
Una comunità che ha perso il suo spazio pubblico e tutti i suoi luoghi, i ricordi individuali e collettivi. L'Aquila è una città fantasma, un labirinto di demolizioni e ricostruzioni. Nessuno vive più lì e ci vorranno decenni per ricostruire. La maggior parte vende le sue rovine per andare avanti. I loro abitanti vagano, sfollati.
Nel corso del 2014 e del 2015 ci siamo immersi - io e la scrittrice italiana Caterina Serra - in questa città per catturare e documentare la perdita, per seguire lo spostamento della popolazione verso i confini della mappa urbana.
Volevamo capire in che modo una comunità si riconosce sottomessa
a certe circostanze, come elabora ciò che può ottenere o che cosa può recuperare.
Volevamo raccontare cosa succede in un luogo in cui la politica ignora la storia, la cultura e la struttura della sua società e delle sue comunità. Dove chi decide non ha alcuna esperienza, nessuna immaginazione, nessuna appartenenza.
Volevamo capire la geografia fisica ed emotiva dello spostamento.
Questa ricerca getta le basi del progetto, che ha debuttato al MACRO di Roma durante il Festival internazionale di fotografia (2015). L'idea era di combinare la narrativa e fotografia, offrendo un dialogo tra due diversi modi di vedere.
Fotografie catturate su pellicola e accompagnate da parole: il risultato è un esempio unico ed emozionante di narrazione dove la prosa e le immagini accompagnano lo spettatore attraverso luoghi profondamente colpiti dalla recente storia.